Sono trascorsi due anni da quando don Sergio,
nell’infinito silenzio di un Sabato Santo, ha radunato i suoi affetti più cari,
ha messo insieme due cose e, con la valigia in mano, si è incamminato verso ‘casa’:
verso quel grembo, nutrito d’Amore e di Spirito eterno, ch’è rifugio sicuro per
ogni suo figlio.

In questi giorni difficili e lenti, lo immagino spuntare di
nuovo da una finestra del cielo, per farci visita. Sporgersi giocoso dalla
fenditura di un confessionale celeste, per regalarci il suo sguardo. Non però uno
sguardo diverso, malinconico o intristito dalla scena che incontra. Piuttosto,
uno dei suoi sguardi più limpidi e consueti: densi di tenerezza, ricchi di
consolazione, intinti nella corrente fresca di un’amicizia divina…

In aggiunta,
nessuna parola! Le parole, in lui, cedevano il passo alla squisita umanità del
gesto, proprio come accadeva al Maestro nel cuore della folla. Lo sapeva bene,
don Sergio, e ce lo aveva insegnato. Nulla supera l’eloquenza, sapiente e
infantile, di uno sguardo che, accarezzandoti il volto e segnandoti il corpo,
ti avvolge in un incanto inestimabile e di una promessa di misericordia…

Nella piccola
valigia, che si è portato dietro, continuo invece a scorgere uno spartito e una
poesia. Sono le note della sua vita da prete, vissuta con un ritmo vivace e con
accordi musicali d’altri tempi. Le parole non sono sue: le ha attinte da una
santa. Ma, vi assicuro, che la sua interpretazione, si è rivelata, per tanti,
il vero capolavoro di un artista gagliardo e di un prete di talento. Eccolo, il
componimento …

L’assenza di un vero
prete è, in una vita, una miseria senza nome.

Il più gran regalo che si possa fare,

la più grande carità
che si possa arrecare,

è un prete che sia un
vero prete.
Egli è l’approssimazione più grande
che si possa attuare quaggiù della presenza visibile di Cristo.
Nel Cristo c’è una vita umana e una vita divina.
Anche nel prete vogliamo ritrovare una vita veramente umana
e una vita veramente divina.
La disgrazia è questa:

molti preti sembrano come amputati

sia dell’una che dell’altra.
Spesso poi una terza vita invade le prime due e le sommerge.
Il prete diventa l’uomo della “vita ecclesiastica”,
dell’ambiente clericale.
Il suo vocabolario, il suo modo di vivere,
la sua maniera di chiamare le cose, il suo gusto dei piccoli interessi
e delle piccole contese di influenza.
Tutto questo gli mette una maschera
che ci nasconde dolorosamente il prete,
questo prete che senza dubbio rimane dietro di essa.
L’assenza di un vero prete è, in una vita,
una miseria senza nome,
la sola miseria
.
[Madeleine Delbrel]

× Attenzione! Testo dell'errore